Titolone megagalattico per quella che, il qui presente, ha preso come una bella chiacchierata con persone che di fantastico (e editoria, ancor di più) ne sanno.
E’ stato un piacere intrattenersi con i ragazzi di Fantasy On Air, che sono stati di una gentilezza davvero d’altri tempi, e gli altri ospiti: Pierdomenico Baccalario, Mark Menozzi, Francesco Dimitri. Assieme a loro abbiamo tracciato uno spaccato del fantastico nostrano che potete trovare a questo link (cliccate di seguito, all’articolo apparso su FantasyMagazine): Il Dibattito sul Fantasy Italiano. A fine articolo, troverete anche la registrazione audio, sul sito di Fantasy On Air.
Che dire. Grazie a chi mi ha invitato, è stato un piacere. E grazie a chi ci ha seguito. Un evento davvero piacevole e non privo di spunti di riflessione.
A presto,
L.
Quanto mi (ci) manchi su questo blog…
Buono l’intervento di Dimitri, di cui condivido la linea di pensiero, molto meno quello di Baccalario, una linea dalla quale mi dissocio e che contesto.
Liberissimo, M.T. Il mondo è bello perchè è vario. Ma farei dei distinguo. Io mi trovo più in linea col pensiero di Baccalario, e l’ho fatto presente (se ti riferisci al discorso sul fantastico italiano, abbiamo parlato di tante cose in effetti).
Non mi sono mai piaciuti gli “estremismi”, passami il termine. E l’ho fatto presente anche nella discussione. Non mi si può dire, e far passare per buono, un concetto come: leggo un italiano, e lo ritengo pessimo, quindi tutto il fantasy italiano è pessimo. Lo trovo, appunto, un pensiero un po’ povero.
Se io lo applicassi agli esordienti che mi contattano ci sarebbe da ridere, e dopo il primo invio avrei dovuto chiudere con le mail. Cerchiamo invece di capire che dietro un romanzo c’è solo la persona che lo scrive, e nessun altro. Non il genere in sé. Lo stesso Francesco Dimitri fa parte di quel fantastico italiano, no? Esempio lampante che una teoria come questa un po’ vacilla.
La letteratura anglosassone, e mettiamoci qui dentro gli autori americani, autraliani e inglesi, vive una situaizone non dissimile dalla nostra. Questa idea di vassallaggio, lo ripeto, è sbagliata. Hanno autori ottimi, come scribacchini di infima qualità (così come li abbiamo noi). Che sia diverso il mercato, l’eco che questo ha, il numero dei lettori, il risalto sulla stampa, l’impatto di organizzazioni come la SFWA, ecc. ecc., è certo, ma scrittori validi ci sono tanto là quando qua da noi.
Sia chiaro, non lo dico per farti cambiare idea o altro. Ci mancherebbe. Prendila solo come una risposta pacata al tuo commento (e più che altro come un “in più” per chi non ha avuto il tempo di ascoltarsi tutta la conferenza sul sito di Fantasy on Air). Grazie per essere passato di qui e aver lasciato il tuo commento.
Un saluto,
L.
Amplio il pensiero.
Condivido con Dimitri il pensiero che il lettore sia libero di criticare l’opera, anche duramente purché i toni siano civili e soprattutto siano motivati, che spieghino ciò che non va: affermazioni come “il libro è brutto”, “fa schifo” sono limitate e non dicono nulla. Occorre mostrare le parti che non funzionano, perché non l’hanno fatto e dire cosa ci si sarebbe aspettato. Le critiche fatte in questo modo spingono a migliorare, a dare un contributo. Posso giudicare l’opera e dire se quell’opera è meritevole d’encominio o di critica; certo dire che se un romanzo scritto da un italiano è “brutto”, allora è brutto tutto il genere a cui appartiene, non è povero, ma molto peggio.
Su questo concordo con Dimitri.
Non concordo con Baccalario quando afferma che non bisogna criticare negativamente un’opera perché altrimenti l’editore non pubblica più quel genere. A questo genere di linee sono contrario in qualsiasi ambito, non solo letterario: se una cosa è mancante, fatta male, va reso noto, non stare zitti. Facendo così si rimane sempre allo stesso punto e non è un bene, se si vuole progredire.
Sul paragone livello anglosassone/italiano devo dire che c’è differenza, ma lo motivo con il fatto che in altri paesi, almeno a livello fantastico, sono più navigati, hanno più anni d’esperienza e quindi sono più avanti. In Italia si sta crescendo e c’è del lavoro da fare: soprattutto occorre che gli addetti ai lavori acquisiscano maggiore conoscenza del genere. Dico questo perché molte case si sono buttate sul settore non perché appassionate o esperte, ma perché è un campo che al momento rende. I risultati però in diversi casi sono stati opinabili e sono cose che fanno male al genere, specie se le case editrici incentrano campagne pubblicitarie non sull’opera, sul suo valore, ma si concentrano sull’età o sui titoli dell’autore: non deve importare nulla se lo scrittore ha quindici anni o se possiede quattro lauree, il suo nome in copertina è sufficiente.
Occorre acquisire una maggiore professionalità. So la tipologia di testi che possono arrivarti, so quanto lavoro c’è da fare e come possono sembrare disastrosi certi invii che devi valutare (m’è capitato di leggere chi ha mandato testi da valutare) ed è anche naturale che all’inizio, mancando esperienza, si facciano errori: è accettabile. Non è accetabile che certi errori rimangano dopo l’editing: è mancanza di professionalità degli addetti ai lavori che non hanno fatto a dovere il compito cui sono preposti. Qui non si parla di trama, personaggi, ma di forma con la quale il testo si presenta. L’editing serve a mettere il testo nella condizione più accattivante, serve a rendere scorrevole e piacevole la lettura. Se questo non avviene è giusto far notare la mancanza, non tacere (ovvio con toni costruttivi, nè volgari nè arroganti o denigratori).
Che poi negli altri paesi siano tutti bravi è un’illusione: ci sono scrittori validi e meno validi. Un esempio che mi viene in mente in positivo è Brandon Sanderson; uno negativo, Ed Greenwood (non per l’ambientazione dei Forgotten Realms, ma per i libri che ha scritto). Di certo quelli validi, che hanno raggiunto certi livelli e che perdurano nel cammino letterario, è perché le loro opere hanno dimostrato valore.
Ma non credo che il discorso di Baccalario fosse: non criticare a priori. Anzi. Conoscendolo ti posso assicurare che non c’è persona più costruttiva di Pierdomenico Baccalario quando si lavora seriamente su un progetto. Ribadisco: seriamente (trovo che questa sia la parola chiave di tutto il discorso). Io che ero là, sul palco con lui, Dimitri e Menozzi, non ho percepito questa polemica con questi toni e accenti.
La critica deve essere costruttiva, certo, ma da noi stiamo assistendo (qui in Italia, ed è un caso prettamente italiano. E qui potrei dare il via a una chiosa che non finisce più, la risparmio a tutti) ad attacchi che sfociano sul personale e di una maleducazione assoluta. Da Duchi sboccati, razzisti e omofobi (che dimostrano un’ignoranza becera, e una stupidità fuori del comune) a Gambere che, permettimelo, hanno fallito proprio dove pensavano di poter insegnare qualcosa qualcuno: pubblicando cose di infimo livello.
Non voglio tirare nessuno in ballo, ma alcuni frequentatori di questo sito mi hanno inviato in privato alcuni loro progetti, e li sto aiutando passo dopo passo a presentarli in modo professionale: senza sbraitare, senza urlarlo e senza sbatterlo in faccia in modo indegno. Nel modo più ovvio: lavorandoci sopra seriamente (e mi ritengo fortunato di aver incontrato ragazze e ragazzi come loro).
Posso assicurarti che la critica a cui si riferiva Baccalario (quella da evitare) era quella che spara a zero su tutto e tutti, senza che nessuno di questi fantomatici critici senza arte né parte abbia le carte in regola per farla. In questo io sono d’accordo con Baccalario. Sono uno di quelli che le critiche le accetta solo da chi mi ha saputo dimostrare di essere un gradino (o parecchi gradini) sopra di me, non da ragazzetti ormonosi, acide scolarette in stile manga, e spazzatura varia. Sbaglio? Forse sì, chi non sbaglia? Ma ora come ora questa strada mi sta dando un sacco di soddisfazioni che, a 27 anni, non mi sarei mai aspettato.
La critica ci vuole. Ma dipende da: chi la fa, perché la fa, e con che mezzi (intesi come termini e qualità del dialogo, costruttivo o meno). Il discorso fatto da Baccalario, e che faccio mio, è che una critica senza valore, generalizzata, sboccata e feroce, fatta da chi urla più forte e peggio degli altri (nemmeno fossimo al mercato del pesce), getta un’ombra sul lavoro serio di quei pochi che ci tengono davvero al genere e ai giovanissimi autori. Poi rispettabilissima ogni opinione, per carità, ognuno la veda come vuole, mi premeva solo specificare il mio pensiero.
Grazie e a presto,
L.
Questa è la percezione che ho avuto, ma a prescindere da essa la linea di pensiero espressa è quella che ho sempre avuto.
So a chi ti riferisci e quel genere di critica, o attacchi personali come li definisci, non sono utili, anzi. Dicono alle volte delle cose giuste e mi sono trovato concorde, ma una cosa giusta detta nel modo sbagliato diviene sbagliata e perde valore. Si deve criticare l’opera non andare sul personale (certo che però ci sono autori che fanno affermazioni e hanno modi che si vanno a cercare situazioni poco piacevoli). Sono dell’idea che l’autore una volta scritta un’opera si deve mettere da parte e lasciare che sia lei a parlare. Senza urlare, prevaricare come si vede fare in questo momento: su questo sono d’accordo. Un lavoro serio, costante e silenzioso: sono i fatti, non i proclami a dimostrare. E nemmeno la maleducazione, anche se questo modo di fare attira più l’attenzione. Come le cattive notizie: fanno più scalpore di quelle buone.
Occorre professionalità e non tutti ce l’hanno. Passano editing e storie limitate, che sono copioni una dell’altra. So che il mercato pubblica ciò che rende e crea profitto, ma che sia realizzatto professionalmente, perché se io che non sono un professionista cerco di rendere il testo che ho prodotto al meglio, capace di rivedere tutta l’opera se trovo in un capitolo qualcosa che non fluisce (e revisionare più volte un testo di mille pagine non è un lavoro da poco), perché chi ha questa mansione per vero lavoro, non lo deve fare?
Su questo gli addetti ai lavori italiani devono stare attenti se vogliono acquisire credibilità e rendere stabile, e non un fuoco di paglia, il genere fantastico.
Mi preme sottolinere che “a volte”, solo “a volte”, quelle voci hanno detto cosa condivisibili, “a volte”. Non hanno sempre la verità in tasca come, invece, vanno pontificando. E lasciamo pur stare il fatto che, a mio avviso, il farcire il tutto con epiteti di un certo tipo non sia solo deplorevole, ma indice di un certo qual tipo di personalità (e qui torniamo sul discorso della critica). Io posso anche provare a dire una cosa seria ma, a mio avviso, c’è tono e tono per farlo. L’accusa, l’inneggiare alla violenza e al dileggio, fa crollare anche quel minimo di credibilità, a mio avviso (se mai l’hanno avuta). Io sono per l’educazione prima di tutto. E non mi si venga a dire che essere educati è non voler dire le cose per come stanno. O, ancora, una modalità per nascondere una verità amara. Personalmente non ragiono così, credo anzi sia una forma di rispetto per gli sforzi che, bene o male, sono stati compiuti da chi ci ha creduto in un testo.
Sono anche d’accordo che gli esperti del settore debbano sempre dare il massimo, ma mi pare che nessuno abbia sostenuto il contrario a Lucca. Io per primo ho fatto l’esempio che, se non ho spazio per un autore ma lo reputo bravo – senza che me ne venga nulla in tasca – spendo tempo, mail e consigli.
Ti faccio il mio di esempio perché ne sono diretto responsabile (c’è gente su questo sito che può avvalorarlo), ma avendo lavorato anche con altre persone, a certi livelli, da Dreamfarm alla Salani, ti posso assicurare che c’è grande attenzione e serità. Poi ovvio che tutto non può piacere, tutto non può arrivare allo stesso modo, e che c’è libro e libro.
A me sembra più che altro che una certa fazione osteggi un certo tipo di romanzo perché A QUELLA FAZIONE non piace, perchè altrimenti non si spiegherebbe in alcun modo il motivo per cui romanzi come quelli poi, in libreria, vendono. Qualcuno che li compera deve pur esserci, mi pare. E anche qui gli esempi si possono sprecare. Si lavora per questo, te lo dico molto onestamente, almeno nel mio caso.
Un saluto,
L.
Mi sa che stiamo usando tante parole per esprimere lo stesso pensiero 😉