Recensione: Gli inferni di Zandru

 

«Non sono i giorni del giglio che plasmano la nostra anima, ma le gelide notti d’inverno, quando ci troviamo nella fossa della Forgia di Zandru; allora scopriamo chi siamo davvero.» (Felicia Leynier).

“Rumail, potente e diabolico laranzu sopravvissuto alla guerra che suo fratello, Damian Deslucido, ha scatenato contro il regno di Hastur, affida al figlio Eduin la missione di eliminare gli ultimi discendenti della casa reale. Eduin è quindi mandato alla Torre di Arilinn, dove l’erede al trono, il principe Carolin, viene addestrato all’uso del laran, l’arma psichica dal terribile potere. Benché il suo compito sia quello di ucciderlo, tra loro nasce un’amicizia. Ma è solo la quiete che precede la tempesta…

Alla Torre arriva infatti il giovane Varzil Ridenow, e tra lui e il futuro sovrano si crea immediatamente un legame fortissimo, un profondo affetto basato sui comuni doni telepatici e sugli ideali condivisi, che li unirà per tutta la vita. Nell’animo di Eduin esplode la rabbia: ormai divenuto un espertissimo laranzu, il ragazzo, raffinato strumento di vendetta nelle mani del padre, rovescerà sulle esistenze di Carolin e di Varzil un odio tanto cieco quanto subdolo, e nascosto dai suoi poteri cercherà in ogni modo di portare a termine la sua missione di morte, disseminando la loro vita di dolore e ostacolando il grande sogno dei due amici: mettere fine alla minaccia rappresentata dalle armi laran e ricostruire moralmente la Torre di Neskaya…”

 

Per chi si è avvicinato alla saga di Darkover a metà degli anni ’90, quando cioè le librerie letteralmente tracimavano titoli in più edizioni appartenenti al ciclo firmati da Marion Zimmer Bradley (1930 — 1999), leggere questo romanzo è un po’ come tornare a casa. Ora che i gusti sono cambiati e che nelle librerie s’impongono sempre più spesso mode su mode, che durano una stagione o poco più, e che dei “grandi temi” nel fantastico non s’intravvede quasi più nemmeno l’ombra, l’arrivo di un titolo come Gli inferni di Zandru (Zandru’s Forge, 2003) diventa un piccolo evento. Una perla di luce luminosa, particolare e diversa da tutto il resto, immersa in queste “gelide notti d’inverno, presso le fosse di Zandru”, tanto per citare la coautrice del romanzo, Deborah J. Ross, che con questa bella citazione (presa da una frase di Felicia Leynier, un personaggio chiave del romanzo) racchiude tutto il senso del volume. Un romanzo che rispetta il mondo di Darkover e la sua complessità, i suoi temi e le sue peculiarità, che ci porta nelle Torri, ci fa vivere tra i suoi Laranzu e Leronys, dandoci un ampio spaccato di quei Cento Regni sempre in guerra fra loro, in cui Varzil e Carolin forgiarono il fatidico Patto: un codice d’onore che modificherà per sempre il volto di Darkover.

Benché sia il seguito di La caduta di Neskaya (Longanesi, 2007), i fatti sono narrati a una generazione di distanza dagli eventi racchiusi in quel libro, e proprio per questo il romanzo è godibile di per sé. Deborah J. Ross cresce. I primi tre dei quattro libri in cui è diviso il tomo acquistano ritmo e mordente (mancanza che lamentavamo a fine lettura della Caduta di Neskaya), e le poche sbavature che abbiamo rintracciato nella trama si percepiscono all’inizio del quarto libro, apprestandoci verso il finale della storia. Il motivo è presto detto: Gli inferni di Zandru è cronologicamente situato durante i Cento Regni, un arco di tempo poco sfruttato da Marion Zimmer Bradley stessa, che solo sul finire della sua vita desiderò tornare nel passato di Darkover per narrare i giorni chiave del suo gelido mondo dal tetro Sole Rosso. In particolare, cronologicamente parlando, le ultime due parti di questo romanzo, la terza e la quarta, racchiudono in toto il romanzo La Donna del Falco (Longanesi, 1989) riportando passo passo quelle vicende, quegli eventi e quei personaggi.

Ritroviamo così Romilda (la donna del falco) con però (prima incertezza) la riproposizione letterale del suo nome, ripreso dall’originale di Marion Zimmer Bradley: Romilly (stessa cosa accade per Carolin, nella Donna del Falco era Carolus). La scelta nella traduzione di Riccardo Valla, traduttore del volume La Donna del Falco nel 1989, forse più nobile e medievaleggiante anche se non in linea con l’originale, può forse oggi creare qualche piccolo imbarazzo in chi legge (e soprattutto in chi non è così addentro a tutti i meccanismi che ruotano attorno alla serie di Darkover). A parte queste sbavature, è proprio la presenza di Romilly (o Romilda, come più vi aggrada a questo punto), che risulta trattata in modo frettoloso. La sua presenza citata alla lettera per riportare fedelmente gli intrecci tra i due volumi, viene quasi riassunta, così da rimandare all’altro tomo per una “maggiore completezza”. Sembrano insomma mancare alcuni passaggi necessari come se l’autrice si sforzasse di mettere in luce quel personaggio ma che, per farlo, necessariamente ci lasci ricorrere all’altro romanzo senza avere il tempo e lo spazio per narrarci qualcosa di più qui, in questo nuovo volume. 

A parte questo punto che poteva essere risolto diversamente, i veri centri focali della storia sono Varzil e Carolin. Su questi due personaggi c’è poco da dire: la Ross li tratta col giusto spazio, dando loro spessore, colore, e regalando ai fan della saga un corollario di retroscena ricco e in grado di coprire molti dei buchi neri che Marion Zimmer Bradley aveva lasciato solo intuire in quel suo grande mosaico che è Darkover. Varzil più di tutti emerge con prepotenza. La sua figura, ammantata di un’aura particolare in tutti i libri della serie – Varzil il Buono, Varzil il Saggio – è degna di nota perché lontana da ogni cliché: è un personaggio vero, sentito, che in questo volume non fa rimpiangere i personaggi migliori di Marion Zimmer Bradley. C’è profondità, c’è forza nel suo cammino. Pagina dopo pagina il ragazzino fragile fisicamente, ma tenace nello spirito, si trasforma: e nell’epilogo diventa il venerato Custode in grado di cambiare i destini di un mondo intero.

In questo Deborah J. Ross ha rispettato la visione di Marion Zimmer Bradley, regalandoci un romanzo piacevole, in certi punti davvero ottimo e capace di farci scordare la scomparsa dall’autrice che ha dato vita alla serie. La traduzione di Maria Cristina Pietri è un’altra garanzia per il ciclo, visto che da anni se ne occupa, mentre si è rivelata una felice introduzione la copertina firmata da Paolo Barbieri (finalmente una illustrazione degna di questa serie letta in tutto il mondo!).  

Gli inferni di Zandru è un buon romanzo, pieno di pathos, ricco di messaggi importanti e di personaggi che restano impressi nel cuore per la fiducia che hanno nelle loro forze, nel futuro e nelle loro capacità. Capacità in grado di forgiare un nuovo Darkover.  

L.

2 thoughts on “Recensione: Gli inferni di Zandru

  1. posto qui lo stesso commento che ho postato laddove ho incollato questa splendida recensione.

    Quando esce un libro di Darkover per me è un momento che non riesco a descrivere. Proviamo così: avete presente quando arrivava l’ultimo giorno di scuola e ti pregustavi le vacanze, il tornare in luoghi che amavi con gli amici di giorni di puro piace? Ecco. Ma a questo unite la sensazione che provate quando tornate a casa, a quel calore che sentite vostro, a quel luogo che vi può descrivere meglio di qualsiasi altro.
    Ecco, questo per me è stato, è e sarà sempre Darkover. Amo quel pianeta, le sue usanze truci, il laran, i Comyn, tutto. Non ringrazierò mai abbastanza MZB per questo immenso regalo. Per cui ringrazio Luca per la recensione, non vedo davvero l’ora di tornare casa vai domnes

  2. Ecco, e io che pensavo di aspettare un altro po’, prima di prenderlo! Ma come faccio ad aspettare, dopo aver letto questa tua magnifica recensione?

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